Proposta Radicale 4 2022
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Recensioni

Parliamo di bioetica

di Michele Minorita

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Borsellino, per amore della verità

di Va. Ve.

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Parliamo di bioetica

Parliamo di bioetica

di Michele Minorita

La professoressa Luisella Battaglia, ordinaria di filosofia morale nelle università di Genova e a Suor Benincasa di Napoli ha un grande pregio: sa affrontare tematiche complesse e le rende rendere accessibili anche per i non “addetti ai lavori”; il suo argomentare piano e ricco di suggestioni non è una “semplice” esposizione: è una sorta di forcipe, stimola e provoca riflessioni e interrogativi. Le 184 agili pagine di “Bioetica lo certificano.

Bioetica, meglio cominciare dai fondamentali, avvalendosi dell’aiuto della Treccani: “una disciplina che si occupa dell’analisi razionale dei problemi morali emergenti nell’ambito delle scienze biomediche, proponendosi di definire criteri e limiti di liceità alla pratica medica e alla ricerca scientifica, affinché il progresso avvenga nel rispetto di ogni persona umana e della sua dignità”. Già queste poche righe chiariscono quanto sia importante, e più che mai di questi tempi.

Il termine viene coniato nel 1927 da Fritz Jahr, teologo luterano e psicologo della vita vegetale: sostiene che la Bioetica deve essere l’etica del “bios”, l’intero mondo vivente; ne ricava una sorta di imperativo: “Tratta nella misura del possibile ogni essere vivente sempre anche come fine e mai solo come mezzo”. Kant applicato a tutti gli esseri viventi. Perché hanno “un valore intrinseco e se non possiamo eliminare completamente ogni strumentalità, dobbiamo però avere la consapevolezza che ogni sacrificio dovrebbe essere veramente richiesto da una ragione seria e profonda”.

Qui vengono in soccorso soprattutto tre capitoli del prezioso libro di Battaglia: “Questioni di bioetica ambientale”, “Questioni di bioetica animale”, “Dalla ‘bioetica quotidiana’ alla ‘bioetica di frontiera’”. Il lettore viene condotto in tre dimensioni della bioetica che pur distinte sono profondamente unite, per le indiscutibili interrelazioni tra il regno umano e quelli animale e ambientale. Il “collante” di queste tre dimensioni è (dovrebbe essere) quello del benessere e di una “buona” qualità della vita.

Facile a dirsi. Inevitabilmente si cozza con una quantità di interessi concreti e agguerriti che procedono in senso opposto. Da qui l’interrogativo cruciale che Battaglia ci pone con il suo “Bioetica”, e che riguarda soprattutto le nuove generazioni, quelle chiamate a pagare, gestire, rimediare gli errori, le lacune, le indifferenze delle precedenti: come “dar corpo al futuro” a questi assunti, e proprio a partire dai cambiamenti epocali che si realizzano e consumano sotto i nostri occhi, ogni giorno. Una sfida che esige risposte che non sono, per quello che riguarda i risultati, verificate; si tratta di vere e proprie scommesse. Le questioni del degrado ambientale, il vertiginoso sviluppo delle biotecnologie che investono ormai ogni branca della nostra vita impongono scelte rapide e che tuttavia devono riuscire a conciliarsi con i canoni fondamentali della democrazia (che, per inciso, anch’essa deve rinnovarsi e fornire risposte nuove a domande inedite). Battaglia non si nasconde la difficoltà dell’impresa: “Tutto sembra sfuggire al nostro controllo. Ci sentiamo fragili, smarriti, vittime di poteri che ci sovrastano, privi di punti di riferimento che possano orientare il nostro agire e rendere il mondo ospitale e vivibile”.

Opportuno il monito: per troppo tempo si sono coltivati i miti della sovranità dell’io, dell’autoaffermazione, dell’autosufficienza (e le declinazioni caricaturali del narcisismo e del rampantismo).

L’età globale, l’interdipendenza degli eventi, produce interconnessione tra gli umani, li rende dipendenti gli uni degli altri, identiche le sfide. Come riassume Battaglia “siamo ormai pienamente una comunità di destino”.

Si pensi alla prateria (con tutti i pericoli e le minacce insite), costituita dalle tecnoscienze, che “esigono” in modo particolare “tutela”. Si pensi alle biotecnologie, alle scoperte della medicina e della genetica, che mutano profondamente scenari che sembravano consolidati. Altro allarme lanciato da Battaglia: “La ragione tecnologica sembra prendere il sopravvento sull’uomo “antiquato”: la riduzione della persona alla sua biologia, negando la sua biografia – il vero connotato dell’umano – rischia infatti di consegnarla nuda ad un potere che inclina pericolosamente verso un’esclusiva attenzione per la pura sopravvivenza biologica”. 

Qui, irrompe quello che giustamente viene definito il “principio di responsabilità”, che ne implica un altro: quello della “cura”, che non è solo il “sanare” qualcosa di menomato. “Cura” significa operare per preservare il positivo dell’esistente, ma anche non condannare a sofferenza senza scopo e rimedio; non essere passivi spettatori di quanto che accade, ma attori che concretamente operano per appunto la citata buona qualità della vita: “Forse il problema oggi è quello di proteggere non tanto l’umano – inteso nella sua purezza ontologica – quanto l’umanità e la sua futura sopravvivenza sul pianeta. Un’umanità che riscopre sempre più i suoi legami colla natura e col mondo non umano, con cui deve interagire responsabilmente. Legami, più che contaminazioni e ibridazioni da temere, cominciano ad apparirci – ecco la speranza – come vincoli di solidarietà, di coappartenenza da riconoscere e da salvaguardare”.

Battaglia suggerisce di procedere nella direzione di una cosmologia non antropocentrica: “Per fare “esercizi del futuro” in un’etica della speranza si tratta di andar oltre sia “l’umanesimo nostalgico”. Si avvertono gli echi di Giordano Bruno; per fortuna oggi i poteri usano altri metodi meno atroci di quelli utilizzati nei confronti dell’illustre nolano. Comunque esistono ed operano, inutile nasconderselo, e con questi agguerriti poteri occorre fare i conti. Poteri che non concepiscono una visione allargata della comunità morale: le generazioni non ancora nate, la biosfera minacciata, la totalità a noi prossima delle creature viventi dovrebbero ormai entrare nel campo etico.

Si tratta comunque di un processo inevitabile: innegabile il dramma planetario della sofferenza, il male inflitto agli umani (e ai non-umani) ovunque. Sofferenza e male che scorrono e si consumano ogni giorno “in diretta”. L’indifferenza diventa una colpa dolosa. Non ci si può sottrarre a questa planetaria “sfida etica”.

Il problema a questo punto (senza scadere nei fondamentalismi alla Greta Thumberg) è costituito dall’incapacità (o della non volontà) delle classi politiche di cogliere gli intrecci e le connessioni tra tutela dell’ambiente, salute individuale e collettiva. Da qui l’importanza e la necessità di una responsabilità quotidiana, metodica, individuale. Moniti e allarmi che risalgono ai primi anni ’60 del secolo scorso, lanciati per esempio dal “Club di Roma” e da un personaggio di cui si smarrisce memoria, Aurelio Peccei. È un discorso da recuperare e sviluppare. In nome di un umanesimo che o è planetario, o non è.

L’autrice: Battaglia nel 1992 fonda l’Istituto italiano di Bioetica, di cui è direttore scientifico. Dal 1999 fa parte del Comitato nazionale per la bioetica, organo della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Per Rubbettino dirige la collana di “Bioetica” e la rivista “Argomenti di Bioetica”. Tra le sue pubblicazioni: “Etica e diritti degli animali”; “Alle origini dell’etica ambientale. Uomo, natura, animali in Voltaire, Michelet, Thoreau, Gandhi”; “Bioetica senza dogmi”; “Un’etica per il mondo vivente. Questioni di bioetica medica, animale e ambientale”.

Luisella Battaglia

Bioetica, Editrice Bibliografica

Borsellino, per amore della verità

Borsellino, per amore della verità

di Va. Ve.

Confessa di provare un grande disagio ricorda che in occasione dei 25 anni dalla strage di via D’Amelio assieme alla sorella Lucia e al fratello Manfredi, decide di riprendersi quello che definisce “il diritto alla parola”. Per questo denuncia, per la prima volta pubblicamente, il rovello che li tortura: “la solitudine di mio padre, il tradimento da parte dei suoi colleghi magistrati”. Esprime un altro punto di vista, rispetto a quello delle celebrazioni ufficiali, riti quasi sempre vuoti, freddi, pieni di retorica. “Ho sentito il gelo intorno a me. Nei giorni successivi mi si rispose che i familiari delle vittime sono privi di qualsiasi forma di prudenza verbale. Invece del dialogo, ci fu immediata chiusura”.

È Fiammetta Borsellino che parla, la figlia minore a cui il padre riversa la maggiore attenzione. Ora è di fatto la portavoce della famiglia. Si confida con Piero Melati, giornalista di cui si fida. Il 26 giugno del 2022, a ridosso del trentennale della strage, Melati pubblica su “l’Espresso” una lunga, amara intervista. Fiammetta racconta non sono interessati alle cerimonie ufficiali, preferiscono impegnarsi ogni giorno nelle scuole, “lontani dai riflettori”. Una decisione maturata dopo aver preso consapevolezza che “personaggi di primo piano delle istituzioni non avevano fatto il loro dovere…quando le prime sentenze hanno documentato l’esistenza del più grande depistaggio nella storia della Repubblica Italiana oggi noto a tutti, quello relativo alla strage di via D’Amelio, per la quale era stato costruito un finto pentito ed erano stati condannati degli innocenti”.

Dalla mafia, dice, il tradimento te lo aspetti; dalle istituzioni, no: “Per noi figli di Borsellino questo è stato motivo di una grande rottura. Ci sono magistrati che stanno lavorando e che lo fanno bene, ma per vederlo si è dovuti arrivare al processo Borsellino quater, che doveva essere un punto di arrivo e non di partenza, come invece è stato, e dopo un iter tortuosissimo costato anni e anni. Se tocchi certi poteri, si arena tutto quanto”.

Chiede Melati: all’indomani del venticinquennale delle stragi, hai formulato 13 domande per avere verità su via D’Amelio. Hai avuto risposte? “Nessuna”. Ancora: qualche istituzione ha chiesto scusa per il depistaggio? “No. Solo io ho chiesto scusa agli innocenti condannati ingiustamente. Non sono mai stata avvicinata da nessun addetto ai lavori per un qualsivoglia chiarimento, neppure sul piano personale e umano. In questo c’è stata molta disumanità”.

L’intervista si chiude con parole che dovrebbero far meditare. Fiammetta ha voluto, vincendo molte resistenze, incontrare uno dei carnefici del padre, Giuseppe Graviano, uomo di fiducia di Totò Riina.  Alla domanda cosa sia rimasto di tutto questo enorme percorso fatto di sofferenza e pena, una risposta serena da cui traspare una grande forza d’animo, un rigore e valori certamente “ereditati” da Agnese e Paolo, i genitori: “Il sistema carcerario è incapace di generare percorsi di cambiamento. Gli incontri tra detenuti e vittime, invece possono innescare tentativi nuovi. Altrimenti il malessere collettivo nelle carceri diventa una bomba ad orologeria, generando solo suicidi e recidività. Lo stesso carcere duro per i mafiosi non è più adeguato, se non favorisce percorsi di cambiamento, che non devono passare necessariamente per una collaborazione. È un’altra idea di giustizia che ho imparato da mio padre”. 

Melati è anche l’autore di “Paolo Borsellino per amore della verità” (Sperling & Kupfer, pagg. 240). Un mosaico di parole, confidenze, racconti dei tre fratelli. Un libro che commuove e indigna, illuminante: il racconto di una famiglia che con sobrietà, grande senso del decoro, rispetto, non rinuncia ad affermare il suo sacrosanto diritto a conoscere la verità. Melati ricorda come all’ultimo dibattimento del processo Borsellino, il pubblico ministero Stefano Luciani abbia sillabato: “C’è stato il più grande depistaggio della storia giudiziaria di questo Paese…”. Mattia Feltri su “La Stampa”, commenta: “Le più alte corresponsabilità della morte di Borsellino…sono coperte e ignote da anni, salvo poi versare la lacrimuccia coccodrillesca a ogni ricorrenza”.

Dopo la strage, annota Melati, “la moglie e i figli del magistrato hanno vissuto tre decenni in stato d’assedio, minacciati, manipolati, trattati da colpevoli. Stavolta non dalla mafia, ma dalle istituzioni…” (pag.16).

Impossibile riassumere il nono capitolo (pag.91-101), significativamente intitolato: “Vestire il pupo”. Si racconta che qualcuno aveva subito compreso il “depistaggio”: un’avvocata, Rosalba Di Gregorio. Con Dina Lauricella scrive un pamphlet bollato subito come “eretico”: “Dalla parte sbagliata”. A suo tempo rilascia anche una lunga (e lasciata cadere) intervista a “Panorama”. In sostanza denuncia inascoltata il grande depistaggio. “A me è sembrato da subito un golpe” (pag.95).

Ancora (parla Fiammetta): “La nostra casa era sempre invasa da personaggi eccellenti. Venivano in tanti, ministri, sottosegretari, alti ufficiali, pubblici ministeri di Caltanissetta. Formalmente era una cortesia verso mamma, per esempio, interrogarla in casa, ma in questo modo non facevano neppure verbali ufficiali, non formalizzavano nulla, e in questo clima continuamente colloquiale, intanto, la attenzionavi, come si dice in gergo inquirente, a 360 gradi” (pag. 118).

Terrificante la consegna della borsa del padre dove NON c’è più l’agenda rossa: “Quando l’allora capo della Mobile e poi questore La Barbera ci riportò a casa la borsa di mio padre, la stessa scomparsa dopo l’autobomba e poi riapparsa, ma senza le sue agende, mi disse che l’aveva ritrovata nella sua stanza in questura e non sapeva chi l’avesse messa. Allora con più veemenza gli ho detto che avevo visto con i miei occhi che mio padre, il giorno della strage, aveva messo nella sua borsa le agende. La Barbera disse a mia madre che stavo male e che era meglio che mi facesse curare…” (pag.131). Non solo: “Dopo la strage scoprimmo che l’ufficio di mio padre in procura era stato svuotato. In quei giorni lavorava dalla mattina alla sera. Eppure, la scrivania era vuota e i cassetti non contenevano niente. Nella villetta di Villagrazia, poco dopo, c’erano chiare tracce di effrazione. Erano entrati, ma solo nello studio di papà, mettendolo a soqquadro. Dopo via D’Amelio, qualcuno si era introdotto in casa e aveva cercato qualcosa…”(pag.133).

Per una recensione questi “assaggi” possono bastare. Di libri sulla Cosa Nostra, i boss, i martiri di mafia, ce ne sono tanti, forse troppi. Non esagero se dico che questo di Melati è un lavoro eccellente. Un libro destinato a restare.

Piero Melati

Paolo Borsellino, per amore della verità, Sperling & Kupfer

iMagz